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Superare schemi divisivi e consunti, per una ripartenza nel nome dell’innovazione e della solidarietà sociale. La politica tedesca può e deve ragionare in questa direzione, “copiando”il metodo di una club di football berlinese
La Germania ha un problema di narrazione. Che è anche di sostanza, quasi sempre, forse sempre. Ne ha scritto Paolo Valentino, corrispondente del Corriere , cercando di ragionare sui torti e sulle ragioni di Berlino a proposito dello scudo anti aumenti: quei 200 miliardi messi sul tavolo domestico dal cancelliere socialdemocratico Scholz (e dai suoi alleati verdi & liberali) per proteggere famiglie e aziende dalla crisi energetica intrecciata all’inflazione. Una Germania che si muove da sola nella casa europea cigolante, con il portafogli arricchito da decenni di virtuose esportazioni, mentre gli altri – non tutti, ma una maggioranza qualificata – scalpitano per rinforzare insieme l’architettura comune prima della tempesta. Una Germania che dieci anni fa, invece, era paladina dell’austerità e fustigatrice della Grecia . Una Germania puntualmente fiera dei propri quaderni con i compiti a casa in ordine, la prima della classe che ogni mattina si siede nel banco davanti alla cattedra, già infastidita da quanti rumoreggiano in fondo all’aula. Ingombrante, facile obiettivo degli insulti dei bulli: Stato «cannibale» secondo Viktor Orbán (che nel frattempo stringe accordi super scontati con Putin).
Giocatori della Union Berlin, cresciuta nel quartiere operaio di Koepenick e arrivata dopo anni di training nel 2019 nella Bundesliga
Un modello sportivo per la politica, per la ripresa
Diventa complicatissimo guardare al lato luminoso della sua forza. A come ogni cancelliere, dal Dopoguerra a oggi, sia stato scrupoloso nell’osservanza dei principi e delle regole-quadro europee. A quanto sia vero che la scelta di adottare misure espansive, laddove questo si riveli possibile, risponda in fasi recessive a un richiamo delle istituzioni finanziarie a favore anche di chi ha meno margini di manovra. E magari un’economia strettamente connessa (tipo l’Italia: Berlino resta un partner commerciale essenziale e, se si mette in salvo, a noi male non fa). Prigioniera di un’alta quanto statica autorappresentazione, incapace di rinnovare il racconto di sé forse ai suoi stessi occhi e comunque di controllarne i riverberi esterni, la nazione tedesca non esce dall’angolo di un’identità la cui riscrittura non si è completata. E l’incrocio tra lentezze e titubanza, quando si tratta di allinearsi alle accelerazioni comunitarie, finisce per indebolire tutti. Dalla prima all’ultima fila. Nell’inevitabile guado di stereotipi e inimicizie in cui le turbolenze economiche spingono i vicini, pure quelli dei nostri condomini privati, un abile ufficio stampa federale potrebbe ispirarsi al modello “Fussballclub Union Berlin” . Potrebbe riscoprire, cioè, quella Berlino anticonformista che ha scalato il campionato di calcio tedesco.
L’Unione di ferro e il post riunificazione
La storia di questa squadra “minore” – radicata in uno storico quartiere operaio, Koepenick, nell’est della capitale – schiude scenari di ripartenza, di fiducia nell’innovazione e nella solidarietà. L’Unione di ferro, Eisern Union , sfidava il regime ai tempi della Ddr. E, dopo la riunificazione, è stata rimessa in sesto e poi in corsa dalla partecipazione popolare. Raccolta fondi tra i sostenitori per pagare l’iscrizione alla quarta serie fino, nel 2019, all’approdo in Bundesliga; autotassazione per ristrutturare lo stadio che è immerso nel bosco , con gli alberi che spuntano tra curve e tribune; l’inno affidato alla voce punk di Nina Hagen; il pubblico che resta sugli spalti fino all’ultimo e non contesta né arbitro né giocatori; la Casa del tifoso ricavata da un ex supermercato che accoglie centinaia di immigrati e poi li aiuta ad integrarsi. E in tanta serendipity, come ha raccontato Andrea Senesi, «un calcio aggressivo». Tutto pressing e, appunto, ripartenze. È lo specchio di un’Europa nuova che ha superato schemi di gioco divisivi e laceri, ma finisce per non espugnare mai definitivamente i luoghi comuni in cui il vecchio Continente si smarrisce. Meglio la maglia dell’Union Berlin di quella copertina dell’Economist, Welcome to Britaly , che ha riproposto il cliché degli spaghetti inforcati da una caricaturale Liz Truss.
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