Greenwashing, di cosa si tratta - Cure-Naturali.it

2023-02-22 16:59:33 By : Mr. David Chen

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Impossibile, negli ultimi anni, aver letto un giornale o una discussione nei social media senza imbattersi in una parola entrata da poco nel dizionario: greenwashing. Ma di preciso cosa si intende con il termine greenwashing? Cerchiamo di fare chiarezza.

Non esista una vera e propria traduzione di greenwashing in italiano; in senso letterale, sarebbe “lavare (o dipingere) di verde”. Più spesso, il significato di greenwashing viene riassunto nell’espressione “ambientalismo di facciata”. 

Questo termine compare per la prima volta nel 1983 in un saggio scritto dall’ambientalista Jay Westerveld. L’autore si riferisce a quegli alberghi che invitano i clienti di conservare gli asciugamani per più giorni, invece di farli lavare. La richiesta infatti viene giustificata con una presunta attenzione all’ambiente, quando in realtà è dettata dalla pura e semplice volontà di risparmiare. 

Un’azienda è accusata di fare greenwashing quando vanta, per sé o per i propri prodotti, caratteristiche eco friendly senza che ci sia un reale riscontro nella realtà. Così facendo, sfrutta la sostenibilità come una pura e semplice leva di marketing, approfittando del fatto che i consumatori siano sempre più attenti e sensibili a questi temi. 

Una rilevazione sottoposta da IBM Institute for Business Value a 16mila persone dimostra infatti che più della metà degli intervistati (il 51%) nel 2022 attribuisce alla sostenibilità ambientale un’importanza maggiore rispetto all’anno precedente. Il 49% dichiara di aver pagato un prezzo più alto per prodotti presentati come sostenibili o socialmente responsabili, sempre nell’arco dei 12 mesi precedenti. Tre individui su quattro cercano di fare scelte più sostenibili nella propria vita quotidiana.

Consapevoli di questo, le aziende hanno iniziato a fare larghissimo uso dei cosiddetti claim di sostenibilità per i loro prodotti. Annunciando, al tempo stesso, ambiziose strategie di sostenibilità e di decarbonizzazione per la propria organizzazione nel suo insieme. Di per sé sarebbe una scelta lodevole, ma talvolta queste sono pure e semplici manovre pubblicitarie a cui non corrispondono reali performance positive. Sono questi i casi in cui si parla di greenwashing. 

Per capire meglio come le aziende fanno greenwashing, è utile scendere più nel concreto. Ecco alcuni tipici esempi di greenwashing:

Leggendo queste descrizioni viene da pensare soprattutto ai prodotti di largo consumo, dove in effetti i cosiddetti claim ambientali spopolano. Pensiamo per esempio ai cosmetici presentati come “naturali”: la verità è che ad oggi non esiste una certificazione che attesti che tutti gli ingredienti siano naturali, quindi ci sono prodotti che vantano questa caratteristica pur contenendo tensioattivi.

Una dicitura come “cruelty free” o “non testato su animali” è altrettanto fuorviante, perché qualsiasi cosmetico venduto nell’Unione europea a partire dal 2013 non può essere stato sottoposto a test sugli animali. In questo caso, dunque, si vanta una caratteristica reale, presentandola però come un valore aggiunto quando in realtà consiste nel puro e semplice rispetto della legge.

Anche la moda è un settore in cui le aziende cercano sempre di più, e in modo sempre più pressante, di dimostrare le loro performance di sostenibilità. Talvolta a ragione, talvolta con argomentazioni più opinabili. Di recente la catena di fast fashion H&M è stata accusata di greenwashing: la class action sostiene che i profili di sostenibilità di centinaia di prodotti siano stati costruiti sulla base di informazioni non veritiere.

Questi sono soltanto alcuni esempi, ma la realtà è che l’ambientalismo di facciata può coinvolgere qualsiasi settore. Esiste il greenwashing anche nella finanza: è questo il sospetto sulla base del quale a maggio 2022 le autorità tedesche hanno fatto irruzione negli uffici di Deutsche Bank e della sua società di gestione del risparmio, DWS. La giustizia voleva infatti verificare che tutti i fondi proposti come ESG, cioè basati su criteri ambientali, sociali e di governance, avessero davvero le credenziali per definirsi tali.

Il greenwashing in Italia è un argomento sempre più dibattuto, anche per via di alcune sentenze che hanno suscitato grande scalpore. 

La prima risale al 2012, quando l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (meglio nota come Antitrust) ha sanzionato con 30mila euro l’azienda Ferrarelle per pratica commerciale scorretta. Questo perché le bottiglie da 1,5 litri erano state presentate come a Impatto zero: in realtà l’azienda aveva aderito all’omonima iniziativa di LifeGate, ma per compensare le emissioni generate da circa 26 milioni di bottiglie (cioè da una parte della sua produzione). 

Molto più pesante, con il suo importo di 5 milioni di euro, la multa che nel 2020 è stata comminata sempre dall’Antitrust a Eni, per la pubblicità del suo biocarburante Enidiesel+.

La prima sentenza di un tribunale ordinario risale però al 2021, quando il Tribunale di Gorizia ha accolto con ordinanza cautelare il ricorso d’urgenza presentato da Alcantara Spa nei confronti di un’azienda competitor, Miko Srl, che aveva reclamizzato una sua microfibra facendo un uso improprio di claim come “ecologica” e “amica dell’ambiente”. 

Appurato che alcune aziende cavalcano il trend della sostenibilità per il proprio tornaconto, cosa possono fare i consumatori? Insomma, come difendersi dal greenwashing? Esistono diverse strategie:

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